L’amministratore delegato alla logistica e produzione della società, secondo la Cassazione penale (sez. III, 23.03.2022, n. 27190), è chiamato a rispondere per la frode in commercio dovuta all’immissione sul mercato di beni contaminati e non rispondenti alle indicazioni riportate dall’etichettatura.
Nella vicenda esaminata era stata rilevata una contaminazione di mangime etichettato come biologico e il ricorrente contestava la condanna nei primi due gradi ritenendo che fosse stato ritenuto responsabile solo in ragione delle funzioni a lui delegate, mentre sosteneva che i giudici avevano mancato di accertare la sua consapevolezza in ordine alla presenza di residui (non presenti in etichetta) nei macchinari di lavorazione e alla volontà di porre in vendita il prodotto contaminato. Riteneva di essere estraneo all’attività di confezionamento e di avere comunque all’uopo dettato specifiche direttive.
Direttive ritenute invece non provate e, dove presenti, totalmente generiche e aspecifiche. Con il ricorso alla Suprema Corte contestava infatti che in assenza di specifiche prove della sua responsabilità questa gli veniva di fatto attribuita in maniera automatica, facendola derivare dalla sua qualifica in azienda, ossia contestava l’attribuzione di una responsabilità “oggettiva” senza accertare l’elemento soggettivo connesso al reato ex art. 515 c.p.
Il motivo è stato respinto dalla Cassazione in quanto la norma attribuisce al titolare dell’esercizio commerciale la responsabilità per la frode al consumatore realizzata nell’ambito dell’attività di vendita di un bene, sempre che questi non abbia adempiuto all’obbligo di impartire chiare e precise disposizioni ai dipendenti, affinché si attengano a un comportamento leale e scrupoloso nello svolgere il proprio a lavoro nei confronti dei consumatori.