In tema di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, integra il reato previsto dall’art. 517 c.p. la messa in circolazione di una bevanda evocativa del gusto di un vino DOC italiano, nel caso in cui il mosto fornito dal venditore non provenga da vitigni italiani, diversamente da quanto desumibile dalla confezione.
Il caso in esame, affrontato dalla terza sezione della Corte di Cassazione Penale con sentenza depositata il 9 marzo 2020, ha riguardato la messa in commercio di “wine kit” contenenti mosto, tappi ed etichette, recanti nella confezione le indicazioni di vini italiani a denominazione di origine protetta, la denominazione “vini italiani” e le effigi della bandiera italiana ed addirittura del Colosseo.
La Suprema Corte, in assenza di una documentata provenienza italiana della materia prima, ha avuto modo di rimarcare come, ai sensi dell’art. 4, comma 49, L. 350/2003, l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 c.p.
Tale disposizione precisa inoltre che “costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana”.
La Corte non ha mancato di ricordare che la “fallace indicazione” del marchio di provenienza o di origine impressi sui prodotti presentati in dogana per l’immissione in commercio integra il reato sopra citato previsto dalla L. n. 350 del 2003 qualora il consumatore, attraverso indicazioni false e fuorvianti o l’uso con modalità decettive di segni e figure, è indotto a ritenere che la merce sia di origine italiana.
A questo si sovrappone l’illecito amministrativo, previsto dall’art. 4, comma 49 bis della medesima legge qualora, a causa di indicazioni di provenienza insufficienti o imprecise – ma non ingannevoli – il consumatore è indotto in errore sulla effettiva origine dei prodotti.
La Corte di legittimità ha dunque confermato come il consumatore, nel determinarsi ad acquistare il “Wine Kit”, fosse tratto in inganno sull’origine italiana del mosto, utilizzato per preparare la bevanda al gusto di vino.
Pertanto, indicazioni nelle confezioni di vini italiani a denominazione di origine protetta, diciture quali “vino italiano” e relative effigi costituiscono elementi idonei a ingenerare nel consumatore la falsa convinzione dell’origine italiana del mosto impiegato per la preparazione della bevanda.