Con sentenza n. 9678 del 5 aprile 2019 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che in tema di certificazione biologica dei prodotti agricoli, disciplinata dal reg. n. 2092/1991/CEE, sostituito dal reg. n. 834/2007/CE e succ. modif., gli Organismi privati autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, ai sensi del d.lgs. n. 220 del 1995, ad effettuare i controlli ed a rilasciare la certificazione, non assumono la veste di P.A. ex art. 7, comma 2, c.p.a., né partecipano all’esercizio di un pubblico potere, svolgendo essi un’attività ausiliaria, valutativa e certificativa (prelievi e analisi), sotto la sorveglianza dell’autorità pubblica, che si sostanzia in apprezzamenti ed indagini da compiersi sulla base di criteri esclusivamente tecnici e scientifici, costituente espressione di una discrezionalità meramente tecnica, in relazione alla quale sorgono in capo ai soggetti privati destinatari del controllo posizioni di diritto soggettivo la cui tutela rientra nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.
La società attrice avanzava in primo grado domanda di risarcimento di danni lamentati in conseguenza di asserita erronea attività espletata dalla controparte in forza di contratto di certificazione Bio, valutativa e certificativa (prelievi e analisi) di prodotti da essa coltivati come biologici; ovvero, in subordine, a titolo di responsabilità extracontrattuale per avere quest’ultima adottato provvedimento di “soppressione cautelativa” della commercializzazione dell’intera produzione vegetale, in ragione della presenza di sostanza non ammessa, invero riscontrata sulla base di un solo campione prelevato da un solo appezzamento, senza nemmeno verificare la tesi della predetta società circa la relativa provenienza dai terreni confinanti.
Al riguardo le Sezioni Unite osservano preliminarmente come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (v. già Cass., Sez. Un., 29/4/1964, n. 1039) che con riferimento all’agire discrezionale della P.A. e all’esercizio del potere di apprezzare liberamente l’interesse pubblico, i pubblici bisogni e la idoneità dei mezzi adottati per il loro soddisfacimento, non è ammesso il sindacato del giudice ordinario, il quale non può accertare se la medesima abbia convenientemente apprezzato i bisogni della collettività e scelto i mezzi idonei per soddisfarli.
Rispettati tali limiti, ben può peraltro l’autorità giudiziaria ordinaria verificare se i mezzi scelti siano stati adeguatamente messi in opera, se abbiano funzionato in modo normale, o se, per imperizia o negligenza, cioè per colpa, il funzionamento sia stato anormale o difettoso.
Trattasi infatti, in quest’ultima ipotesi, di indagine meramente tecnica, cui è estranea ogni discrezionalità amministrativa, non avendo essa ad oggetto il sindacato dell’uso che del potere discrezionale la P.A. abbia fatto ma soltanto la conoscenza degli effetti del comportamento colposo di essa.
Ne consegue che i precetti della prudenza, diligenza e perizia, che vanno rispettati nella tecnica esecutiva, riguardano l’esecuzione dell’opera nel suo complesso, intendendosi per esecuzione, non soltanto la prestazione materiale di opere, ma anche la prestazione intellettuale e di studio dei tecnici, quali le progettazioni, le direttive, gli indirizzi, che sempre appartengono all’esecuzione tecnica e rientrano in quella attività soggetta ai suddetti precetti della prudenza, della diligenza e delle buone regole dell’arte, dal giudice ordinario pertanto sindacabili.
Si è al riguardo ulteriormente precisato che la controversia riguardante attività di controllo e classificazione sostanziantesi in apprezzamenti ed indagini da compiersi sulla base di criteri esclusivamente tecnici e scientifici impegna in realtà un potere dei preposti soggetti autorizzati costituente espressione di discrezionalità non già amministrativa bensì meramente tecnica, in relazione alla quale in capo ai soggetti privati relativi destinatari insorgono invero posizioni di diritto soggettivo, la cui tutela rientra nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria (cfr. Cass., Sez. Un., 23/4/2001, n. 169, con riferimento all’attività di controllo, classificazione e marcatura CEE dei dispositivi di protezione individuale svolta dagli “organismi autorizzati” di cui al D.Lgs. n. 475 del 1992, art. 6).
Nella fattispecie, tra le parti in causa, risultava esser stato stipulato un contratto di certificazione con il quale la società ricorrente ha affidato alla società controricorrente l'”esecuzione di prestazioni inerenti la certificazione biologica prevista dal Regolamento (CE) n. 834/2007“.
Va al riguardo posto in rilievo che, in tema di metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari, la disciplina in sede comunitaria originariamente introdotta dal Regolamento (CEE) del Consiglio n. 2092 del 1991 del 24 giugno 1991 e dal Regolamento attuativo n. 2416/1991 della Commissione del 6/8/1991 è stata più volte modificata.
In particolare, dal Regolamento CEE del Consiglio 19 luglio 1999, n. 1804 e dal Regolamento (CE) n. 834/2007 (con i Regolamenti attuativi n. 889/2008 della Commissione del 5 settembre 2008 e n. 1235/2008 dell’8 dicembre 2008), e quindi dal Regolamento (CE) n. 967/2008 del Consiglio del 29 settembre 2008 (con il Regolamento attuativo n. 1254/2008 della Commissione del 15 dicembre 2008).
Sin dal Regolamento CEE n. 2092 del 1991, che (come modificato dal Regolamento Regolamento CEE n. 1804 del 1999) ha definito i requisiti minimi in materia di produzione biologica dei prodotti agricoli, le procedure di controllo di tale metodo e i sistemi di certificazione dei prodotti così ottenuti, sancendo che i prodotti i quali soddisfano gli indicati criteri possono recare sull’etichetta l’indicazione “Agricoltura Biologica – Regime di controllo CE”, risulta previsto che gli operatori possano liberamente rivolgersi ad un organismo privato, deputato ad effettuare il controllo e a rilasciare la certificazione sulla base di un provvedimento autorizzatorio dell’Autorità competente dello Stato membro.
La Corte di Giustizia ha al riguardo affermato che gli organismi privati “mettono in atto, conformemente all’art. 9, n. 3 del regolamento n. 2092/91, le misure di controllo e le misure precauzionali elencate all’allegato III dello stesso”, e “ai sensi dell’art. 9, n. 9, lett. a) e b), del regolamento n. 2092/91… possono, sulla scorta dei controlli effettuati, permettere o meno agli operatori controllati di utilizzare indicazioni relative al metodo di produzione biologico per i prodotti messi in commercio e, qualora accertino un’infrazione manifesta o avente effetti prolungati, ritirare al singolo operatore il diritto di commercializzare prodotti recanti indicazioni siffatte per un periodo da convenirsi con l’autorità pubblica competente”, dovendo “in forza dell’art. 9, n. 6, lett. c), e n. 8, lett. a) e b) sempre del regolamento n. 2092/91… rendere conto della loro attività all’autorità incaricata del riconoscimento e della sorveglianza, rispettivamente, informandola delle irregolarità, delle infrazioni constate e delle sanzioni inflitte, fornendole tutte le informazioni richieste e trasmettendole ogni anno un elenco degli operatori da essi controllati ed un rapporto di attività” (così Corte Giust., 29/11/2007, C-393/05; Corte Giust., 29/11/2007, C-404/05).
Si è dalla Corte di Giustizia altresì posto in rilievo che “sebbene risulti da questi elementi che l’attività degli organismi privati non si limita all’organizzazione di semplici controlli di conformità dei prodotti dell’agricoltura biologica, ma comprende anche il potere di trarre conseguenze da tali controlli, si deve nondimeno osservare che proprio il regolamento n. 2092/91 prevede l’inquadramento di detti organismi da parte dell’autorità pubblica competente. Così all’art. 9, n. 4, esso assoggetta gli organismi privati alla sorveglianza di questa autorità e, fra le altre disposizioni, all’art. 9, n. 6, precisa le modalità di esercizio di tale sorveglianza prevedendo, in particolare, che l’autorità incaricata, già competente a concedere o a revocare il riconoscimento, garantisca l’obiettività e accerti l’efficienza dei controlli effettuati dagli organismi privati” (così Corte Giust., 29/11/2007, C-393/05; Corte Giust., 29/11/2007, C-404/05).
A tale stregua, si è sottolineato, che “gli organismi privati” esercitano la loro attività sotto la sorveglianza attiva dell’autorità pubblica competente, “che è, in ultimo luogo, responsabile dei loro controlli e delle loro decisioni”, pervenendosi ad affermare che “il ruolo ausiliario e preparatorio attribuito agli organismi privati da tale regolamento nei confronti dell’autorità di sorveglianza non può essere considerato una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri” (così Corte Giust., 29/11/2007, C-393/05; Corte Giust., 29/11/2007, C-404/05).
Se ne è quindi tratto, quale corollario, che l'”attività degli organismi privati quale definita dal regolamento n. 2092/91 non costituisce di per sé una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri, tale che ogni ulteriore attività che partecipi ai pubblici poteri ne sia necessariamente separabile” (così Corte Giust., 29/11/2007, C-393/05; Corte Giust., 29/11/2007, C-404/05).
Non negando agli Stati membri la possibilità di attribuire ai certificati natura pubblica, la Corte di Giustizia ha dunque escluso come osservato anche dal P.G. nella sua requisitoria scritta – che gli organismi di controllo nel settore biologico partecipino all’esercizio dei poteri pubblici.
Il D.Lgs. n. 220 del 1995, ha al riguardo indicato quale Autorità competente ad emettere il provvedimento autorizzatorio il Ministero delle Politiche agricole e forestali, che vigila sugli organismi di certificazione, insieme alle Regioni.
L’organismo autorizzato ex D.Lgs. n. 220 del 1995, non assume la veste di P.A. ex art. 7 c.p.c., né può affermarsi che eserciti (quantomeno nell’esecuzione del contratto di certificazione), funzioni pubbliche.
Le certificazioni, come anche osservato in dottrina, sono in realtà strumenti di circolazione di “informazioni” destinate in particolare ai consumatori, quali attestazioni di conformità del prodotto agli standard di legge e di “garanzia” dell’affidabilità al riguardo dell’impresa e dei suoi prodotti.
La suindicata disciplina è stata quindi sostanzialmente confermata (artt. 27 – 30) dal Regolamento (CE) n. 834/2007 (che ha abrogato il Regolamento CEE n. 2092 del 1991), come modificato dal Regolamento (CE) n. 967/2008 del Consiglio del 29 settembre 2008.
A seguito di un controllo da parte della società autorizzata, svolto nell’ambito delle attività valutative prodromiche alla emissione del certificato bio, nella specie è stato prelevato un campione il cui successivo rapporto di prova rilevava la presenza di un regolatore della crescita il cui utilizzo non è contemplato dalla disciplina dell’agricoltura biologica.
L’Organismo autorizzato, pertanto, comunicava la soppressione cautelativa del prodotto inibendo al contempo la messa in commercio dello stesso come biologico.
Essendo l’oggetto del giudizio di merito costituito da domanda di risarcimento di danni lamentati in conseguenza del provvedimento adottato all’esito di mere valutazioni tecniche, senza alcun esercizio di attività iure imperii, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario.