La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 30620 del 27/11/2018, ha stabilito che nel settore alimentare, dove la circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale che contribuisce in maniera significativa alla salute e al benessere dei consumatori, il produttore, onde garantire la sicurezza degli alimenti, ha un obbligo, quale operatore professionale, di attenersi al principio di precauzione e di adottare misure proporzionate in funzione delle caratteristiche del prodotto e della sua destinazione al consumo umano, verificando, attraverso controlli a campione, che il componente acquistato risponda ai requisiti di sicurezza previsti e non contenga additivi vietati e pericolosi, prima di ulteriormente impiegarlo quale parte o ingrediente nella preparazione di un alimento finale.
La controversia prende le mosse dalla richiesta di risarcimento dei danni sofferti da una Società la quale esponeva che la presenza del colorante “Sudan I” nel peperoncino rosso acquistato dalla stessa, rinvenuta a seguito di accertamenti di polizia giudiziaria, era stata ritenuta cancerogena e dichiarata dalla normativa comunitaria inutilizzabile nelle sostanze alimentari, obbligando così la Società, dopo aver subito sequestri, al ritiro dei prodotti confezionati e posti in commercio nei mercati Europei.
In primo grado il tribunale rigettava la domanda, affermando l’inesistenza, all’epoca dei fatti, di metodi di rilevamento del “Sudan I” negli alimenti, e l’imprevedibilità della contaminazione.
La Corte di appello, rinnovando con esiti diversi la consulenza tecnica d’ufficio svolta in prime cure, accoglieva invece la pretesa, osservando che avrebbe comunque potuto rilevarsi che nel prodotto venduto era presente una sostanza diversa da quella che avrebbe dovuto esserci. Di conseguenza, condannava la Società fornitrice al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio.
Quest’ultima proponeva ricorso in sede di legittimità prospettando l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, rappresentato dall’ammissione con cui si dava atto dell’assenza di coloranti artificiali nel prodotto compravenduto, tra cui era annoverabile il “Sudan I” che non era stato oggetto di specifica menzione in quanto, prima dell’allerta comunitaria del 2003, era sconosciuto dagli operatori del settore e, perciò, trascurato dagli organi di controllo anche a causa della mancanza di un metodo ufficiale e scientificamente validato per la sua ricerca analitica.
La Suprema Corte però dichiarava il ricorso inammissibile in quanto, già con precedente statuizione cassatoria, aveva stabilito che l’oggetto del giudizio consisteva nel verificare se l’acquirente dell’alimento adulterato, operatore professionale e produttore, mediante l’utilizzazione del componente acquistato, della sostanza alimentare finale destinata al consumo umano, avesse un onere di diligenza che gli imponesse di effettuare, a sua volta, controlli a campione volti a escludere la presenza dell’additivo nella spezia acquistata prima del suo impiego nel prodotto finale.
Era stato quindi rilevato che a quel quesito il giudice d’appello aveva dato una risposta negativa, sia richiamando la disciplina della vendita (sarebbe stata la società fornitrice il soggetto tenuto a garantire la bontà di quanto forniva), sia sul rilievo che una corresponsabilità della società destinataria di quel prodotto sarebbe stata configurabile esclusivamente nei confronti del consumatore.
La Corte di Cassazione chiariva che si trattava di conclusione che non teneva conto di alcuni elementi essenziali tra cui quello che, particolarmente nel settore alimentare dove la circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale capace di incidere in maniera significativa sulla salute ed il benessere dei consumatori, il produttore, onde garantire la sicurezza degli alimenti, ha l’obbligo – quale operatore professionale – di attenersi al principio di precauzione e di adottare misure proporzionate in funzione delle caratteristiche del prodotto e della sua destinazione al consumo umano, verificando, attraverso controlli a campione, che il componente acquistato risponda ai requisiti di sicurezza previsti e non contenga additivi vietati e pericolosi, prima di ulteriormente impiegarlo quale parte o ingrediente nella preparazione di un alimento finale.
Contrariamente quindi a quanto ritenuto dal giudice del merito, proprio la sussistenza di un obbligo di sicurezza alimentare del produttore nei confronti del consumatore finale avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello, per un verso, a ritenere configurabile un onere di diligenza attuato attraverso un controllo di genuinità, sia pure a campione, della merce anche se da altri acquistata e poi utilizzata su scala industriale, senza che la Società acquirente potesse fare esclusivo affidamento sull’osservanza dell’obbligo del rivenditore di fornire un prodotto non adulterato né contraffatto, a meno che avesse ricevuto, prima dell’impiego del peperoncino, una precisa e circostanziata garanzia che il componente “Sudan I” non era stato utilizzato; per altro verso, ad escludere la traslazione sul rivenditore dell’intero danno, senza previamente valutare l’incidenza di questo onere di diligenza, e del conseguente dovere di cooperazione, sull’entità di talune voci di danno che sono state risarcite per l’intero (costi di produzione, distribuzione e ritiro del prodotto in cui è presente il peperoncino oggetto della fornitura; lesione dell’immagine).