Nel commercio e nella produzione di prodotti alimentari, è buona norma rendere il più possibile trasparente, tutti quei processi che precedono tanto la messa in commercio quanto l’acquisto e quindi il consumo degli alimenti. Si parla di buona norma non a caso perché, come abbiamo più volte constatato nel nostro studio legale, fino a qualche tempo fa non c’era una regolamentazione ferrea tale da punire con sanzioni serie e decise, le infrazioni relative alla tracciabilità alimentare.
Per chiarire il concetto, la tracciabilità alimentare è sostanzialmente uno strumento per la sicurezza alimentare: serve a stabilire la provenienza di cibi o alimenti vari, non tanto per garantire la qualità o la bontà del sapore degli stessi (un prodotto di bassa qualità, ma in piena regola con la tranciabilità non è punibile, se non tramite il non acquisto dello stesso), ma piuttosto per assicurare una totale trasparenza, tanto agli occhi del consumatore quanto a quello degli enti di controllo. Si tratta di tutti quegli strumenti che si intersecano con la rintracciabilità dei prodotti e la possibilità di verificarne la storia, ogni spostamento compiuto, e i vari trattamenti.
Si è fatto cenno alla buona norma poiché, come accennato, fino a qualche tempo fa non c’erano delle sanzioni rigide in riferimento ai non adempimenti della tracciabilità. Come abbiamo dovuto constatare più volte ai nostri clienti, a normare la tracciabilità alimentare sono stati dei regolamenti comunitari. Tali regolamenti entrano in vigore direttamente e senza che ci sia necessariamente il recepimento da parte dello stato di riferimento, e sopratutto, senza che siano previste sanzioni.
Essendo il regolamento CE178/2002 esattamente uno di questi, non erano previste sanzioni di alcun tipo, tanto che gli organi che avrebbero dovuto far rispettare le norme alle aziende (ad esempio i Servizi delle ASL di Igiene degli Alimenti oppure i vari servizi Veterinari) si erano trovati in condizione di non poter accertare sanzioni per chi avesse evaso gli obblighi imposti dal regolamento, il quale era entrato in vigore ed obbligava le aziende al rispetto dello stesso, a partire dal primo di gennaio del 2005.
Fortunatamente sono stati fatti dei passi avanti in merito alle sanzioni, a partire dal decreto legge numero 190 del 5 aprile 2006 con le seguenti sanzioni:
- prima di tutto, non adempiendo all’articolo 18 del regolamento CE numero 127/2002, di cui si è già detto, sarebbe stato soggetto ad una sanzione pecuniaria a partire da settecentocinquanta euro fino a quattromilacinquecento euro. Quindi sarebbe stato punito chiunque non avesse garantito l’identificazione dei fornitori o non avesse indicato chi fossero i propri clienti, fare chiarezza su un punto tanto importante diventa non più semplice buon senso, ma una norma ben precisa con corrispettiva sanzione.
- Un’altra sanzione aggiunta nel 2006, si riferisce a tutti coloro che, pur consapevoli che un: alimento, un animale, o un mangime, per quanto prodotto direttamente o acquistato, distribuito o soltanto lavorato non fosse conforme alle norme di sicurezza; si fossero disinteressati allo smaltimento dello stesso. In questo caso le sanzioni pecuniarie partono dai tremila euro fino ad un massimo di diciottomila. Se ciò non può garantire sulla bontà di tutti i prodotti, quantomeno può drasticamente ridurre il rischio di acquistare qualcosa che, secondo i criteri stabiliti dal regolamento CE178/2002, sarebbe considerato pericoloso o non idoneo alla produzione, al commercio ed al consumo.
- Un’altra sanzione si riaggancia proprio a quella appena citata. Si riferisce a tutti coloro che, pur avendo riconosciuto la non idoneità di un prodotto e iniziato le procedure di ritiro, non avessero avvertito le autorità competenti della cosa. Questa sanzione garantisce una trasparenza ancora maggiore, e le pene pecuniarie vanno dai cinquecento euro ai tremila.
- La quarta sanzione è riferita a coloro che non avessero fornito alle autorità competenti le informazioni o le collaborazioni, soprattutto se richieste da parte delle stesse. Infatti a volte, alcuni enti per la sicurezza possono richiedere in modo del tutto legittimo alcune notizie, non per rendere più duro il lavoro alle aziende, ma per garantire una trasparenza ancora maggiore. Qualora ci si rifiutasse di collaborare le sanzioni sono molte salate, dai duemila euro fino ai dodicimila euro.
La giurisprudenza in merito, come è evidente si è complicata notevolmente già a partire dal 2006, ed analizzando singolarmente gli articoli del decreto legge si può notare come sia divenuto molto più complesso, anche per un’azienda, riuscire a garantire la totale trasparenza nella tracciabilità.
Se questa regolamentazione ha portato sicuramente agi maggiori ai nostri clienti che si occupavano proprio del controllo, molte aziende si sono rivolte a noi per cercare di muoversi nella piena legalità, poiché il buon senso spesso non basta più, ma è necessaria una trasparenza anche giuridica. Non si tratta di qualcosa di estremamente complicato, ma di norme che fortunatamente hanno garantito una buona efficacia della tracciabilità, come ad esempio quelle scaturite dal Decreto Legislativo 15 settembre 2017 numero 145.
Il nostro studio legale ha una lunga esperienza nel diritto alimentare. Infatti, da diversi anni ormai seguiamo tutti gli aggiornamenti nel settore, e possiamo fornire le consulenze necessarie, tenendo contro proprio delle novità in merito a alle varie normative in merito.